Concorrenza e progresso in ambito assicurativo. Spunti per un dialogo a più voci

Intervento di Anna Fasoli alla tavola rotonda del convegno “Intermediazione assicurativa e concorrenza”, organizzato dalla Fondazione Severo Galbusera a Verona, lo scorso 25 giugno

Innanzitutto ringrazio per questo invito, che mi è stato esteso e che ho accolto volentieri, in quanto assicuratrice “di lunga data” ormai e consigliere Uea.
Mi trovo qui oggi, in questo contesto d'eccezione e ricco di storia, a portare la mia voce, ma anche e soprattutto quella di un'organizzazione, UEA, che all'elaborazione, teorizzazione e risoluzione in chiave scientifica delle problematiche, legate al mondo assicurativo, si è da sempre dedicata con passione.

Il tema proposto è ostico quanto affascinante.
Un tema, quello della concorrenza che, nei risvolti pratici che sortisce ogni giorno, per le agenzie, per le compagnie assicurative, per le funzioni insomma di intermediazione come di realizzazione di prodotti adeguati alla richiesta del mercato, rappresenta una sfida continua.
Delicatissima.

È vero. Abbiamo ascoltato i relatori illustrare un quadro preciso e in piena metamorfosi, uno scenario che a tratti si fa inquieto, per un affollarsi di “nuovi” protagonisti, che faticano ad accettare le “vecchie” e consolidate regole.
Regole che si impongono per non gettare nel caos un sistema, quello assicurativo, che, se è vero che si fa carico, insieme alla concretezza, anche delle paure, dei rischi, dunque di quel quid impalpabile che attiene al futuro, nondimeno si regge, fin dalla nascita, su un bilanciato mix di imprenditoria, strategia economica e rispetto del fair play scritto, ma anche non scritto, ovvero condiviso per unanime accordo dagli attori in scena.

Accade nel nostro settore qualcosa che somiglia molto da vicino, in chiave globale e macroeconomica, all'ascesa rampante di paesi come la Cina, la Corea, il Sudafrica, piombati nella competizione mondiale con una grande fame di successo e la spregiudicatezza di chi ha bisogno di imporsi a tutti i costi, emergere, diciamolo: strafare.
Perché se è vero che nel grande cartellone che rappresenta il “gioco” dell'economia, sono la bravura, la rapidità, l'intuito a premiare, rimane chiaro che non vale barare.
Che cosa voglio dire?

Dico che se da una parte è gioco forza per chi esercita la nostra professione affrontare mutamenti repentini, a volte vere e proprie, attivando come risposta quella di accogliere il cambiamento, anche nelle richieste, negli scenari, e reagire di conseguenza, non rientra affatto nelle nostre corde “adattarsi” ad uno stile poco trasparente, da “fumo negli occhi”.

Insomma se concorrenza deve essere, concorrenza sia.
Ma a carte scoperte.
Su questo il ruolo strategico di controllo degli organismi a ciò deputati, quella funzione di arbitraggio di alto livello – come accade negli arbitraggi internazionali – è attività che va richiesta, incentivata, fomentata. Persino pretesa.
Non si deve, dunque, restare a guardare se accadono soprusi rispetto al protocollo della concorrenza. Che, ripeto, deve rimanere nei limiti della legalità, anzi della lealtà, che è concetto più sottile, ma molto efficace nella pratica di ogni giorno.

Premesso ciò, ecco che vorrei però sottolineare una fragilità, qualche volta persino una falla, nel nostro ambito professionale.
Ed è una certa tendenza di chiusura, di matrice corporativa, talvolta persino di casta. Come se dimenticassimo che nella storia che ci tiene a battesimo, fu proprio l'ansia di primeggiare, che è la spinta buona della concorrenza, a innescare un circolo virtuoso di progresso e sviluppo.

Un binomio, dunque, questo: concorrenza e progresso.
Un binomio a corrispondenza biunivoca, dove l'uno implica l'altro e viceversa. Ripeto, tutto questo se le regole del gioco sono chiare, trasparenti e rispettate. Un “se” di non poco conto.

Se insisto su questo aspetto, tuttavia, è perché a volte certe chiusure, istintive, di fronte a contesti economici fragili e a incertezze sul quadro futuro, falsano e ostacolano un progredire inevitabile e necessario ad ogni settore professionale.
Un progredire, che dall'inizio della storia assicurativa si nutre di contaminazioni.

Ed è questa l'altra parola che mi sembra chiave nel processo che stiamo analizzando.
Contaminazione come capacità anche di interessarsi al nuovo.
Un nuovo – l'abbiamo detto - non sempre corretto, non sempre integerrimo, che dunque va limitato nelle scorrettezze, ma verso cui è necessario attivare l'attenzione, l'interesse.

Quella curiosità, tutta assicurativa, di comprendere che cosa il nuovo conduca. E faccio subito un esempio. Un esempio molto scomodo. Cito i “famigerati” comparatori.
Sistemi che hanno più di una pecca per quanto riguarda il rispetto delle regole di trasparenza assicurativa, non c'è dubbio – e infatti procedimenti di accertamento e controllo sono in corso-, ma che, tuttavia, hanno introdotto nel mondo assicurativo un linguaggio, una modalità di comunicazione, anche promozionale, pubblicitaria, da cui, infine, tutte le compagnie in qualche modo sono state influenzate.

Linguaggio, dunque.
Linguaggio che sa parlare in maniera più diretta, meno “spaventosa” con il cliente. Un cliente di massa forse. Ma un cliente importantissimo, come lo sono tutti, ciascuno preso nella propria singolarità.

Allora se di concorrenza parliamo, parliamo anche di progresso, parliamo di contaminazione, così rilanciando la sfida più antica di sempre per gli assicuratori: ovvero osservare il futuro un attimo prima che accada. Non troppo prima (quello lo fanno gli artisti), ma nemmeno in ritardo.
E se i nuovi attori – o comparse, sarà solo il tempo a decretarlo- che sono saliti sulla scena non recitano a soggetto, beh, vanno come ho detto controllati, circoscritti e sanzionati – e per questo dobbiamo lavorare in sinergia noi che da secoli questo mestiere lo conosciamo bene.

Tuttavia, se questi nuovi attori sanno suggerire, osare nuovi linguaggi, più empatia e continuità con chi li ascolta, maggiore coraggio imprenditoriale, lasciamoci contaminare, influenzare da questa spinta di avvicinamento al cliente. Che rimane, ammettiamolo, forse il nostro tallone di Achille, il nostro vizio meno riconosciuto, e, allo stato attuale delle cose, però, il più rischioso.
Grazie.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici"Leggi l'informativa sui cookie ". Accetto